“Too big to fail”. Troppo grande
per fallire. Così gli economisti a proposito di Spagna e Italia, i due
paesi nell’occhio del ciclone della
speculazione finanziaria. Ma basta questa
formuletta ripetuta come un mantra per sentirci al riparo? Dopo i giorni
di passione delle borse italiane e la manovra finanziaria da carneficina sociale,
diremmo di no. Non basta, evidentemente. Il mercato gioca a dardi con i debiti
sovrani e alza il tiro, provando a scardinare la tenuta dell’eurozona. Nessun
complotto, da qualche mese gli hedge
funds hanno cominciato a scommettere contro il debito italiano in un calo
di fiducia nel paese. Tuttavia, Italia
come Grecia è un’equazione da non fare, mancano presupposti e profilo storico.
L’Italia è vulnerabile per il suo colossale
debito pubblico (circa il 120% del Pil), per le riforme strutturali prorogate sine die, e soprattutto per gli ininterrotti
scandali politico-giudiziari che rinviano impudicamente a corruzione,
olgettine, collusioni mafiose e poteri occulti che si appropriano degli spazi
pubblici per farne uso privato e illecito e che tanto indietro lasciano un
paese reale che affonda e boccheggia imprigionato nel pantano di disoccupazione,
precariato, lavoro nero, caro petrolio, caro vita, senza ombra di crescita. Per
questo, aumenta il disprezzo per “la casta” e i suoi privilegi, per i ricchi scordati
dal fisco mentre l’unità nazionale la si chiede a chi si ingegna ogni dì per sbarcare il lunario. Gli indignati crescono, sul
web e nelle piazze, e non sono più né di destra né di sinistra, hanno saltato
la staccionata obsoleta dei partitismi e delle casacche, sono sicuri di non
essere loro i destinatari del conto esoso della crisi. Giovani, donne, pensionati,
immigrati, questo l’elenco del girone infernale, quello di chi è condannato a
tirare una cinghia che già stringe poco e nulla. Una polveriera sociale che continua
ad essere ignorata e che è il prodotto di una anti-democrazia fatta di pratiche
incancrenite nel tessuto della società italiana in base alle quali la carriera
non è il risultato del merito, del lavoro e del sudore, dell’impegno e del
talento ma dell’essere bene introdotti negli ambienti del potere, dell’essere
affiliati a qualcuno che conta, secondo un modello malavitoso lontano anni luce dall’American Dream.
L’Europa sembra aver minato le
sue fondamenta, i suoi principi di uguaglianza, giustizia, solidarietà, finendo
con l’apparire un manipolo di tecnocrati che in mezzo alla tempesta si aggrappa
al patto di Stabilità finanziaria valido per tutti e in ogni caso. All’Italia le cure della Grecia … quelle che
hanno quasi ammazzato la Grecia. Il risanamento dei conti pubblici attraverso lo
smantellamento dello stato sociale con quel taglio lineare che colpisce i meno
abbienti e lascia in pace i ceti più facoltosi. Il rischio Italia apre una fase
nuova della crisi europea. Troppo grande per fallire, ma anche troppo grande
per essere salvata. E’ in gioco il
destino stesso dell’Unione che, continuiamo a ripeterlo, invece di restare abbarbicata
al trattato di Maastricht potrebbe risolversi
a sanare il suo “difetto di costruzione”
costituito da una moneta unica senza Stato, la falla originaria che andrebbe cementata per restituire stabilità al progetto più
grande e ambizioso del Novecento. L’Italia commissariata dalla Merkel è misura
dell’odierna U.E.: la Germania guida e portafoglio di Bruxelles, mentre le
periferie economiche annaspano e ricevono diseguale trattamento dagli
investitori. La stoccata della speculazione che ha colpito l’Italia e il suo
debito sovrano, in esubero dal
dopoguerra ma ampiamente assorbito a tassi contenuti dal sistema bancario e da
risparmiatori solerti, è avvenuta con la complicità delle agenzie di rating, ora
sotto inchiesta da parte di diverse procure italiane (Trani e Roma). Alla crisi
ha contribuito pure l’incertezza della task
force dell’’Eurogruppo a Bruxelles nel trovare soluzioni efficaci al
default della Grecia. Obiettivo oggi, per l’Italia, è evitare il circolo
vizioso dell’aumento dei tassi sui titoli del debito pubblico. Sin dal primo
attacco alla Grecia dai conti truffaldini
si indovinava l’assalto all’Europa e si profilava una lotta feroce tra la
finanza, orientata da tre agenzie di rating non sempre trasparenti, e la
politica con le sue contraddizioni, le sue doppiezze, i suoi contorti
avvitamenti per non smagliare le ragnatele del potere. Questa crisi è del
sistema, è il fallimento del pensiero liberista, delle sregolatezze del mercato
e delle trame opache della politica, del concetto finto-epicureo della “vita a
credito” finito in bolle e spazzatura. Già durante il G8 di Genova nel 2001 tutto
questo veniva denunciato da una marea di giovani in strada finiti al massacro
secondo quella che Amnesty International ha definito “ la più grande
sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda
guerra mondiale”. Il risanamento prima di essere economico dovrebbe essere
etico-culturale. La politica dovrà decidersi
a sganciarsi dalla malafinanza e dalle lobby bancarie inforcando gli occhiali grandi
del futuro fatto sì di decrescita consapevole ma anche di alfabetizzazione
civica e giustizia sociale; tassando le rendite finanziarie anziché spremere
chi lavora, stanando i tesori depositati nei paradisi fiscali, dichiarando
guerra all’evasione fiscale, promuovendo un’economia sostenibile, investendo in
energie rinnovabili, scuola, ricerca, nuove tecnologie, sarebbe a dire,
sviluppo, lavoro. E’ il momento di grandi protagonisti sulla scena politica e
non di insignificanti parodianti che perpetuano modalità affaristiche e personali.
Stiamo uscendo dalla fiction tartufesca
e cialtrona girata in Italia, possiamo smontare il set riprovevole dell’ultimo
ventennio. E’ il momento di sperare. Good
morning, Italia.
Angela Poli